Notule

 

 

(A cura di LORENZO L. BORGIA & ROBERTO COLONNA)

 

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno XVIII – 18 settembre 2021.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: BREVI INFORMAZIONI]

 

Per rallentare l’invecchiamento una scoperta dallo studio degli estremofili. Un vecchio adagio della biologia dello sviluppo dice che l’involuzione comincia già quando finisce l’evoluzione; è dunque solo apparente la fase di stabilità dell’età media che precede la senescenza e oggi, grazie a una diffusione di massa dell’attività motoria, a una maggiore attenzione alla corretta alimentazione e a stili di vita più salutari, vede il suo limite spostarsi dai 65 ai 70-75 anni. In realtà, con cronologie differenti, i processi di senescenza individuati dalle scienze gerontologiche avanzano lenti e silenti nel corso di gran parte della vita, fino a rendersi manifesti quando il grado di progressione e l’entità delle sinergie sono tali da conferire tratti morfologici e funzionali tipici.

Perché invecchiamo? Tra le numerose cause, la più studiata è l’accumulo di mutazioni nei geni, ma proprio questa priorità, riconosciuta da due generazioni di ricercatori, potrebbe essere messa in discussione dall’esito di nuovi studi.

Molti biologi sono da sempre affascinati dall’osservazione di quei microrganismi in grado di sopravvivere in condizioni estreme, perciò detti estremofili, come i batteri termofili che vivono anche a temperature superiori ai 100°C; ma oggi c’è una ragione in più per occuparsi di questi straordinari unicellulari: possono fornirci una chiave per rallentare l’invecchiamento e prolungare la vita di organismi molto complessi, incluso quello umano. Infatti, una mutazione genetica che impedisce gli errori dell’apparato di biosintesi delle proteine degli estremofili è in grado di prolungare la vita di lieviti, insetti e vermi, quando si ingegnerizzi il loro DNA in modo da importare la mutazione di questi batteri straordinari.

La scoperta suggerisce che gli errori nella sintesi delle proteine costituiscano un’importante causa molecolare di invecchiamento e un obiettivo sul quale fare agire molecole terapeutiche in grado di prevenirli.

Lo studio, condotto da Ivana Bjedov e colleghi, e pubblicato in anteprima sul sito di Cell Metabolism il 14 settembre, riporta che l’inserimento di una sola mutazione estremofila nel DNA di lieviti, insetti e vermi era in grado di prolungare la vita dal 9% al 23% (!). Inoltre, con la mutazione i moscerini diventavano straordinari arrampicatori e i vermi (Caenorhabditis elegans) in età corrispondente alla senilità dei mammiferi producevano numerosa prole.

Vadim Gladyshev, biologo molecolare della Harvard Medical School ha definito “una piacevole sorpresa” che una singola mutazione sia in grado di produrre effetti così positivi, perché si conoscono grandi effetti negativi di singole mutazioni, ma per aversi effetti positivi, in genetica, sono in genere necessari molti cambiamenti.

Il dettaglio molecolare dello studio, per il quale si rimanda al testo della ricerca su Cell Metabolism, suggerisce che individuare mezzi che possano diminuire gli errori nell’apparato di sintesi proteica secondo il modello degli estremofili consentirà di ridurre l’incidenza delle malattie neurodegenerative connesse con l’età avanzata, in particolare le forme non familiari di malattia di Alzheimer, di demenza frontotemporale e di malattia di Parkinson.

La scoperta apre la via a studi che si spera possano presto approdare all’identificazione di farmaci e strategie che migliorino l’età involutiva di tutti, anche se non si avrà mai una “cura per guarire dalla vecchiaia”. [BM&L-Italia news. Fonte: Science e Cell Metabolism, 14 settembre, 2021].

 

Trovate evidenze di un possibile legame tra Herpes simplex e malattie neurodegenerative. Sono state scoperte mutazioni nel gene OPTN determinanti nel cervello murino un aumento della crescita dell’herpesvirus 1 (HSV-1), che porta alla morte dei neuroni locali. Questo processo causa anche accelerazione della neurodegenerazione. Il deficit di OPTN era anche associato ad alterazioni della risposta immunitaria. Questi risultati sono specifici per HSV-1, ma i ricercatori ritengono che possano applicarsi a otto tipi di infezioni da herpesvirus. [BM&L-International news. Fonte: University of Illinois at Chicago, Sep 14, 2021].

 

Topi ringiovaniti col trapianto di flora microbica intestinale dei giovani negli anziani. Il microbiota intestinale è un importante regolatore della salute cerebrale e di processi immunitari, ma recentemente si è anche evidenziata l’importanza del suo cambiamento con l’età nei processi di invecchiamento. Marcus Boehme e colleghi, trapiantando il microbiota intestinale di topi giovani negli anziani, oltre a rilevare il ringiovanimento tanto dell’immunità cerebrale e periferica quanto del metaboloma e del trascrittoma ippocampale, hanno registrato l’eliminazione dei deficit cognitivi selettivamente connessi con l’età. [Cfr. Boehme M. et al. Nature Aging 1, 666-676, 2021].

 

Possibile trattamento dell’Alzheimer con una nuova strategia per bloccare la formazione delle fibrille amiloidi. Ricercatori dell’Università di Houston, dell’Università di Rice e del Rice-based Center for Theoretical Biological Physics (CTBP) hanno condotto una sperimentazione ed elaborato dei modelli computerizzati sugli stadi intermedi che precedono il “dock and lock” dei peptidi βA alla punta delle fibrille in formazione, dalle quali si formano poi le placche. Come nel processo di acquisizione della conformazione definitiva le proteine cercano il modo più semplice di ripiegamento, così anche i peptidi βA cercano il modo più semplice e diretto per legarsi all’estremità delle fibrille in formazione, ma in questo processo vanno incontro ad un evento di stasi denominato “frustrazione”, quando non si verifica un immediato allineamento delle cariche positive e negative.

Peter Vekilov, uno degli autori dello studio, osserva che tentare di bloccare ogni fibrilla in questo stadio sarebbe impossibile, ma che loro hanno individuato la punta della fibrilla come “tallone di Achille” del processo di formazione; così, bloccando i complessi alla punta, si potrebbe arrestare la formazione delle placche amiloidi, uno dei due principali elementi patologici, l’altro essendo la degenerazione neurofibrillare intraneuronica, della malattia di Alzheimer. [Fonte: Rice University; sarà pubblicato come Yuechuan Xu., e coll., Proceedings of the National Academy of Sciences USA 118 (38) e210995118, Sep 21, 2021].

 

Nessuno corregge mai gli errori mediatici, che si consolidano con milioni di ripetizioni. Dai più banali errori di italiano a strafalcioni in campo medico e scientifico, passando per anacronistiche convinzioni da semi-analfabeti, la fiera degli errori sempre ripetuti e mai corretti cui si assiste dagli schermi televisivi e dei media portatili è imbarazzante.

Tra gli “orrori” linguistici più ripetuti in epoca pandemica c’è quello relativo all’immunità acquisita da un’intera popolazione che da questi erranti viene trasformata in pecore o capre, per ignoranza dell’italiano e dell’inglese, associata a psittacismo e pigrizia, che porta costoro a parlare di “immunità di gregge”. In italiano la parola gregge è costantemente riferita a insiemi di ovini, guidati da un pastore. L’errore viene dalla ripetizione acritica di una cattiva traduzione – forse fatta con l’aiuto di un dizionarietto tascabile – della parola inglese herd, che è un termine di classe aperta dallo spettro semantico molto ampio, che ha un primo significato di mandria, bestiame (sinonimo di livestock) e gregge[1], ma ha molti altri significati riferiti ad estese aggregazioni umane e traduce moltitudine, massa di persone, collettività, popolazione. Herd immunity significa immunità di massa ed è un’espressione immunologica di lunga tradizione nei testi immunologici italiani o tradotti in italiano. Ma, pure ignorando l’inglese e non avendo sensibilità linguistica per l’italiano, basterebbe un po’ di intelligenza, o solo un briciolo di buon senso per tradurre in modo “umano” l’espressione.

Ma, forse, un fatto minimo come questo – come diceva Einstein – chiama in causa una questione ben più importante: l’intelligenza dei parlanti.

La questione degli errori mai corretti che attraverso i media sono insistentemente riproposti, diffusi spesso a milioni di spettatori o utenti e appresi come fossero nozioni da imparare, risale a molto tempo fa, e qualcuno di noi ricorda di aver avuto qualche insegnante di scuola elementare o qualche professore di italiano impegnato nell’avvertire gli studenti di svarioni, improprietà di linguaggio, sgrammaticature e dati fasulli, dedicando qualche lezione alla loro correzione.

Dietro questa realtà del permanere degli errori, che apparentemente riguarda solo la comunicazione di massa, c’è un cambiamento socio-antropologico particolarmente evidente nel nostro paese, costituito dal passaggio dalla morale della responsabilità verso gli altri, originata dalla cultura giudaico-cristiana dominante in venti secoli di storia, alla superficiale osservanza del politically correct, che funge da scusa per rimanere disimpegnati in un lasciar fare in grado di nascondere l’ignavia egoistica di badare solo all’interesse personale e non rischiare, rilevando gli errori, di perdere simpatie mediaticamente monetizzabili.

Per quanto riguarda la televisione, in particolare, sembra che, come in passato abbia contribuito all’alfabetizzazione di massa con programmi per adulti analfabeti (“Non è mai troppo tardi” del mitico maestro Alberto Manzi), oggi stia contribuendo all’analfabetizzazione funzionale di ritorno, secondo quanto osservava Tullio De Mauro.

Il problema, da tempo all’attenzione dei membri della nostra società scientifica, è stato affrontato in una recente discussione che ha preso le mosse da errori su nozioni di carattere medico.

In corso di pandemia da SARS-CoV-2, da quando ha avuto inizio la campagna vaccinale, molti giornalisti hanno preso ad usare il termine “siero” quale sinonimo di vaccino, per non ripetere la parola. La distinzione tra siero e vaccino è riportata anche nei libri di scienze delle scuole medie, ma è necessario ribadire che sono due presidi terapeutici in antitesi immunologica, in quanto il siero conferisce una temporanea immunità passiva costituita da anticorpi preformati, come nel caso paradigmatico del siero antitetanico, mentre il vaccino induce l’organismo a produrre attivamente propri anticorpi contro un antigene associato a un patogeno, realizzando un’immunità attiva.

Gli studiosi di comunicazione hanno accertato che questo errore era comune tra i giornalisti italiani già negli anni Cinquanta, quando la formazione scientifica degli operatori dell’informazione era mediamente molto carente e nella popolazione italiana una percentuale decisamente alta, che in alcune regioni del sud costituiva la maggioranza, non completava la scuola dell’obbligo e circa il 13% era del tutto analfabeta. Come si possa perseverare in questo errore ancora oggi rimane una sorta di mistero buffo.

Da oltre trent’anni si sente la propaganda di prodotti che agiscono su “germi e batteri”; ma germe è il temine anticamente adoperato per indicare tutti i microrganismi patogeni, cioè batteri, virus, protozoi e miceti, quando non erano stati ancora scoperti: i batteri patogeni sono dei “germi”. La locuzione martellata da molte emittenti centinaia di volte al giorno per 365 giorni l’anno non ha più senso di questa frase: agisce sulle persone e sugli uomini.

Altro tormentone è il “mal di testa da cervicale”, nel significato originariamente attribuito dal popolino romano nella seconda metà del secolo scorso e poi diffuso da sceneggiatori, comici e attori in tutta Italia. “Cervicale” non è una malattia, ma specifica topograficamente il tratto della colonna vertebrale compreso tra il cranio e le vertebre dorsali nella locuzione “artrosi cervicale”. L’espressione, che non ha più senso di dire “dolore di una mano causato da avanbraccio”, ricalca uno stereotipo popolare in una propaganda commerciale che vende direttamente alla gente i rimedi curativi, come facevano i ciarlatani quando non esisteva la medicina scientifica.

I nostri esperti di cefalee, così come gli studi clinici controllati sulle diagnosi, ci dicono che veri dolori cefalalgici (mal di testa) causati da patologia infiammatoria o neuropatica del tratto di rachide compreso tra il cranio e il dorso sono rari, a dispetto delle convinzioni popolari e delle diagnosi sbagliate, basate con superficialità sull’evidenza radiologica di artrosi e sulla descrizione soggettiva di irradiazione nucale. Anche nella personale esperienza medica di alcuni di noi, le cefalee attribuite da medici di medicina generale ad artrosi cervicale, sottoposte ad accertamenti approfonditi, hanno quasi sempre rivelato un’altra origine, che andava dall’ipertensione alle più comuni cause di emicrania.

Quest’estate, grazie al cielo, si è sentito un po’ meno nei notiziari l’uso del termine “piromane” per indicare gli incendiari responsabili degli incendi boschivi dolosi, ma l’errore rimane. La cosiddetta piromania, che consiste in una manifestazione psicopatologica di un disturbo psichico caratterizzato dal bisogno compulsivo di appiccare il fuoco e dal piacere nell’assistere alla distruzione causata dalle fiamme, è una condizione psichiatrica molto rara e difficile da trattare.

Chiamare piromani gli incendiari equivale a chiamare cleptomani i ladri. Molti anni fa segnalammo al ministro del tempo, Alfonso Pecoraro Scanio, questo errore terminologico – che di fatto può essere inteso come errore concettuale da tutti coloro che non sono ignoranti del significato della parola – e vedemmo “scomparire i piromani” dalla comunicazione istituzionale; ma nei resoconti giornalistici continuava a risultare che, quei delinquenti che distruggevano col fuoco la flora di interi territori per ottenere la trasformazione legale in suoli edificabili, erano dei poverini affetti da un disturbo mentale. E ancora quest’anno, nei giorni di agosto, abbiamo sentito usare questa espressione nei notiziari televisivi.

L’esaurimento nervoso non esiste: l’ipotesi, risalente a quasi un secolo fa, dell’origine delle nevrosi che oggi consideriamo disturbi da stress, da una perdita di neuroni fino al loro esaurimento, si è rivelata erronea ed è stata scartata già negli anni Sessanta del Novecento, ma la “sottocultura della cervicale” continua a farne un fantasma che aleggia in questo regime di dittatura degli ignoranti. [BM&L-Italia news, settembre 2021].

 

Notule

BM&L-18 settembre 2021

www.brainmindlife.org

 

 

 

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[1] Per inciso, molti autori inglesi per indicare un gregge di ovini preferiscono flock a herd.